È arrivato il tempo di decidere tutti da che parte stare: sia chi
prende sul serio la propria Coscienza di credente, sia coloro che, non
credenti, sceglieranno di rispettare la propria Coscienza di uomini e di
donne. E che occorra il risveglio di tutti è provato dalla radice
profonda dell’omertà: la menzogna d’illudersi che si è ancora liberi,
solo perché si può scegliere di girare la faccia dall’altra parte,
mentre sta bruciando la casa.
Siamo nella Calabria dei silenzi e della paura, saccheggiata dalle
cosche e dalla corruzione. Tra gli animatori di Reggio Non Tace, il
movimento di cittadini nato nel 2010 per lottare contro la ’ndrangheta e
le sue molteplici complicità e connivenze, c’è Giovanni Ladiana,
superiore dei gesuiti. Il suo è un cammino che a piccoli passi abbraccia
latitudini spirituali lontane e geografie umane vicine: storie spesso
di dolore e sofferenza, tra i malati, i barboni, i rifugiati, i più
deboli; dal rione Scampia di Napoli al Librino di Catania, dai
terremotati dell’Irpinia alle comunità dei villaggi messicani.
Mani da operaio, spirito da militante, con in mente i modelli di
sant’Ignazio, padre Arrupe ed Etty Hillesum, Giovanni parla della sua
scelta di entrare nella Compagnia di Gesù, della distanza da una Chiesa a
volte lontana dall’essenzialità del Vangelo, delle speranze suscitate
da papa Francesco, del movimento Reggio Non Tace, nato in una terra dove
la presenza della ’ndrangheta avvelena la politica e l’ambiente. Senza
nascondere la paura per le minacce e le intimidazioni, Giovanni Ladiana
continua a spendersi per la missione affidata da Paolo VI ai gesuiti:
«Stare negli incroci della storia, ove vivono i crocifissi d’oggi».