Mosca, 14 aprile 1930. Intorno alle undici del mattino i telefoni si
mettono a suonare tutti insieme, come indemoniati, diffondendo
«l'oceanica notizia» del suicidio di Vladimir Majakovskij: uno sparo al
cuore, che immediatamente trasporta il poeta nella costellazione delle
giovani leggende. Per alcuni quella fine appare come un segno: è morta
l'utopia rivoluzionaria. Ma c'è anche il coro dei filistei: si è ucciso
perché aveva la sifilide; perché era oppresso dalle tasse; perché in
questo modo i suoi libri andranno a ruba. E ci sono l'imbarazzo e
l'irritazione della nomenklatura di fronte a quella «stupida,
pusillanime morte», inconciliabile con la gioia di Stato. Ma che cosa
succede davvero quella mattina nella minuscola stanza di una kommunalka
dove Majakovskij è da poco arrivato in compagnia di una giovane e
bellissima attrice, sua amante? Studiando con acribia e passione le
testimonianze dei contemporanei, i giornali dell'epoca, i documenti
riemersi dagli archivi dopo il 1991 (dai verbali degli interrogatori ai
«pettegolezzi» raccolti da informatori della polizia politica), sfatando
le varie, pittoresche congetture formulate nel tempo, Serena Vitale ha
magistralmente ricostruito quello che ancora oggi è considerato, in
Russia, uno dei grandi misteri – fu davvero suicidio? – dell'epoca
sovietica. E regala al lettore un trascinante romanzo-indagine che è
anche un fervido omaggio a Majakovskij, realizzazione del suo estremo
desiderio: parlare ai posteri – e «ai secoli, alla storia, al creato» –
in versi.