Il ricovero in ospedale per una banale appendicite si protrae oltre il
previsto e al capezzale della giovane Lucy Barton, costretta a letto per
più di due mesi, compare come dal nulla la madre che Lucy non vedeva
ormai da molti anni. Nella penombra asettica di quella stanza ha inizio
un dialogo precipitoso e struggente tra madre e figlia. Interrotta dalle
visite di un medico gentile, dall’andirivieni di tre infermiere e dal
breve sonno intermittente delle due donne, la conversazione scorre
pericolosamente a ritroso sfiorando a tratti nervi scoperti di un
passato fatto di miseria, impotenza, tenerezza, vergogne, traumi. E’
difficile riprendere il filo del discorso, certo, ma è anche la cosa più
stupefacente che Lucy potesse desiderare: sentire la mano di sua madre
strizzarle un piede attraverso il lenzuolo e udire la sua voce che
racconta. Elizabeth Strout ha abituato i suoi lettori al gusto attento
per le storie che, appena accennate, subito si trasformano in promesse
di altri possibili romanzi.