La leggenda narra che Robert Johnson strinse il patto con il diavolo a
un crocicchio, cedendo la sua anima in cambio del talento per suonare la
chitarra come nessuno aveva mai fatto prima. Il blues nacque così:
imbevuto fin dall’inizio di magia arcana e spettrale. Proprio per questo
ancora oggi le sue formule, i suoi riti e linguaggi rimangono
sconosciuti e occulti. Angeli perduti del Mississippi decodifica i
meccanismi che costruiscono le atmosfere rapinose e corsare che
ammantano la musica del diavolo, e lo fa attraverso una miscellanea di
micro-racconti, di frammenti narrativi incastrati come tasselli di un
medesimo mosaico. Un affresco tanto affascinante da assumere i contorni
di un viaggio letterario e culturale che odora di zolfo e distillerie,
chitarre e demoni, e che porta progressivamente a trasfigurare l’opera
in una ballata sulla musica nera. Un suggestivo vagabondare, insomma,
che disegna una geografia storico-sociale, oltre che musicale,
stupefacente e ricca di spunti. Un libro che, in un’efficace galleria di
personaggi, non manca di tratteggiare le vite dei principali alfieri
del blues – da B.B. King a Bessie Smith, da Buddy Guy a Elmore James –
ma che racconta anche il double talk, la lingua “nascosta” con cui i
neri parlavano per non farsi comprendere dai bianchi, e l’hoodoo,
quell’insieme di credenze popolari e pratiche magiche o propiziatorie
legato al mondo africano. Angeli perduti del Mississippi mescola allora
critica musicale e ricerca antropologica, narrativa d’avventura e di
viaggio in una combinazione di linguaggi e ritmi davvero avvincente e
imperdibile.