Cosa vuol dire stare in classe ai tempi della «buona scuola», delle
lavagne multimediali e degli iPhone sotto il banco? Mario Fillioley ci
porta con lui dentro le aule, tra i corridoi durante la ricreazione,
nelle stanze dei professori, e ci regala un fantasmagorico diario di un
anno di scuola – il suo primo da docente di ruolo – in un istituto
distante ottocento chilometri da dove ha vissuto fi no a quarant’anni.
Da settembre a giugno si mescolano ricordi personali, la voglia di
provare metodi nuovi, la paura di sbagliare e lo scetticismo verso
chiunque pensi di avere in mano la soluzione su cosa voglia dire oggi
educare. Ne viene fuori una commedia a metà tra Woody Allen, David
Sedaris e Domenico Starnone, il cui protagonista è un professore che, in
fondo, più che al suo lavoro è interessato ai ragazzi e alle loro
storie, e si muove come un impacciato detective in quella landa
misteriosa e avvincente che è l’adolescenza. Ogni interrogazione, ogni
circolare è il pretesto per una meravigliosa divagazione. Ogni lezione
si trasforma in un racconto esilarante o in un apologo malinconico su
quello che – nel bene o nel male – è il senso profondo della scuola:
diventare grandi insieme.