Mumbai è una sterminata babilonia di strade, culture, grattacieli e
slum, e Altaf Tyrewala ne è il suo cantore più smaliziato. Prescindendo -
e anzi spesso parodiando - dai riti triti e dai consunti esotismi, come
pure dalle messinscene di Bollywood e dagli stereotipi tutti spezie ed
epopee famigliari barocche e orientaleggianti a uso e consumo di turisti
e lettori, Tyrewala con una scrittura nitida e un'ironia sferzante ci
guida nei meandri più angusti, laddove si nascondono scorci di un'India
tragicomica che di certo non troverete in nessuna Lonely Planet. In
bilico tra iperrealismo e fantastico (proprio come la nazione intera),
all'ombra di foreste tropicali o immersi in uno smog asfissiante,
cialtroni e pagliacci umani, troppo umani si arrabattano tra festival
letterari ciofeca, ritiri spirituali e librerie di seconda mano. E
finisce che un clown di plasto-plastica voglia smettere di fare la
mascotte di una multinazionale del fast-food, che un regista di film
porno anticolonialista catechizzi la sua attricetta esitante e che per
una donna delle pulizie il bene più prezioso sia una bottiglia di acqua
minerale. Come in un'eterna ruota dell'esistenza, abbiamo la possibilità
di reincarnarci di volta in volta in uno di questi stralunati
personaggi inabissati nelle contraddizioni dell'agire umano, sempre lo
stesso, a qualsiasi latitudine. D'altronde, in una nazione e in una
megalopoli così caotiche e sovrappopolate, l'individuo, inerme con i
suoi problemi, è sempre schiacciato contro la massa.