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Il pazzo dello zar

























“Timotheus von Bock è un aristocratico che viene imprigionato per anni e poi dichiarato pazzo e confinato nei suoi possedimenti in Livonia (la regione baltica che si estende attorno al Golfo di Riga, compresa tra l’attuale Estonia a nord e la Lettonia a sud) perché nel 1818 ha osato denunciare in un memoriale allo zar Alessandro I, al quale era legato da devota amicizia, le ingiustizie politiche e sociali del sistema zarista e proporgli un progetto di costituzione garante dei diritti di ogni cittadino e tutelatrice delle classi oppresse, come quella dei contadini. Von Bock fa parte di quell’élite militare illuminata dalla quale nasce la rivoluzione dei decabristi nel 1825; liberale e riformatore, egli non vuole minare l’ impero, bensi’ rinnovarlo e trasformarlo in una vera patria per tutti i suoi sudditi. Il potere reagisce con la violenza, condannandolo al carcere, dichiarandolo pazzo e sottoponendolo ad una perfida ed ossessiva sorveglianza che diviene un simbolo di tutte le ragnatele che cosi’ spesso invischiano e soffocano la vita. Il romanzo di Kross non è soltanto una parabola delle relazioni fra l’intellettuale e il potere, ma è anche e soprattutto una poetica raffigurazione dell’ambiguità della vita. Von Bock non è un folle, ma il suo sogno di riforme, in quelle circostanze storiche, può essere una follia, anche se è una di quelle che danno senso e dignità all’esistenza; nel suo rapporto con lo zar non c’è solo il dissidio tra uno spirito libero e autocrate, ma anche leale amicizia; la diagnosi di malattia mentale è certo falsa, ma alla fine un alone di possibile follia avvolge la lucida nobiltà d’animo di von Bock.” – Claudio Magris.