«A uccidermi sono state delle persone. Parabolani li chiamavano, dei monaci del deserto, guerrieri, pronti a uccidere per Dio, o meglio, per quello che altri uomini più furbi indicavano loro circa il volere di Dio. Che una donna non fosse degna, di insegnare, di parlare, di pensare. Sono stati loro a uccidermi, in una notte buia come questa, ma non è importante che siano stati loro. Potrebbero essere stati altri, umani che non sapevano cosa stavano facendo. Cattivi? Malvagi? Può darsi. Molti umani sono inconsapevoli e dunque infelici. Non parliamone più, non ha alcuna importanza e poi è successo tanto tempo fa» ha concluso Ipazia, come se il nostro fosse un discorso qualunque, uno dei nostri soliti discorsi e non riguardasse lei. Allora ho pensato che avevamo ancora un sacco di cose da fare quella notte. Che c'era ancora tempo prima di salutarci, che c'era ancora tempo...
«Guarda Camilla, stanotte sembra che i pianeti danzino per noi, sulle note di una musica antichissima che proviene dal passato» mi ha detto Ipazia guardandomi con occhi velati.