Le migrazioni di massa non sono certo un fenomeno recente per l’Europa.
Quello che è nuovo è invece l’enorme aumento del numero di rifugiati e
richiedenti asilo che bussano alle nostre porte, effetto collaterale e
indesiderato dei disastrosi interventi militari condotti dalle potenze
occidentali in Afghanistan e in Iraq. La violenza inaudita dei nuovi
teatri di guerra ha infatti spinto decine di migliaia di persone ad
abbandonare le proprie case e i propri averi, aggiungendosi al flusso
dei cosiddetti migranti economici, che continuano a muoversi perché
spinti dal desiderio di vite migliori. Non c’è da meravigliarsi che
queste masse in movimento siano viste da chi vive in Europa come
‘messaggeri di cattive notizie’, per citare Bertolt Brecht. È facile
attribuire a cause esterne il crollo delle certezze e delle stabilità
che caratterizza il nostro tempo, mentre è difficile per i politici
resistere alla tentazione di far cassa elettorale sulle ansie e sulle
paure determinate dal flusso inarrestabile di stranieri. C’è bisogno di
inaugurare una nuova stagione, costruire ponti invece di muri. Perché
costruire muri porta a un drammatico peggioramento della situazione e la
distanza crescente tra persone e comunità alimenta pericolosamente la
violenza. La sfida che ci attende negli anni a venire è quella di
superare le distanze e le diffidenze. Solo il dialogo, la fusione degli
orizzonti potrà evitare il disastro.