Il ritmo dei versi di Jo Shapcott è rapido e insieme ondeggiante, il suo
linguaggio sensoriale e intellettuale è insieme enigmatico e diretto,
difficilmente incasellabile, con richiami a Chaucer e a Rilke. La sua
poesia, sebbene di rado apertamente autobiografica, non manca di toccare
gli aspetti traumatici della sua vita, la malattia che l'ha colpita nel
recente passato, gli eventi e le vite di chi intorno si muove e cammina
sulle vie di una solitudine data da osservazione ed empatia. Spesso
l'avvicinarsi al dettaglio si spinge fino alla fusione. E così raggiunge
un estremo e lucido distacco, l'universalizzazione della singolarità.
In alcuni componimenti, l'elaborazione poetica dell'esperienza
autobiografica è presente e chiara: in "Procedimento" la descrizione del
sapore amaro delle mandorle, che rimanda al pericolo della morte, si
tramuta, sorso dopo sorso, in una sorta di inno al tè, e rivela la
gratitudine per la possibilità di poterne ancora gustare il sapore, per
arrivare al metaforico accenno a una nuova capacità percettiva che
rivela un'identità rinnovata, e alla gioia del poter ancora avvertire
l'energia e la potenza salvifica della poesia.