Con la stessa penna felice e la stessa capacità di parlare a un pubblico
ampio usata in Spartaco, Schiavone, senza venire meno alla necessaria
acribia dello storico e allo stretto legame con le fonti evangeliche e
quelle storiche, costruisce un magistrale ritratto del prefetto della
Giudea e degli eventi che portarono alla morte di Gesú, culmine della
narrazione cristiana e punto di contatto tra ricordo evangelico e storia
imperiale. Nel suo lavoro Schiavone non si prefigge altro intento – né
teologico, né politico – se non quello di descrivere e spiegare ciò che
potrebbe essere accaduto. «Due figure si fronteggiano, rischiarate dalla
luce del primo mattino. Sono vicine, si parlano, condividono il
medesimo spazio. L’una è quella di un prigioniero, forse in catene;
l’altra, del suo inquisitore. La scena è sospesa ed elettrica – tutto
deve ancora accadere – ma i rapporti di forza appaiono sbilanciati e
schiaccianti: si capisce che la situazione può degenerare in un niente,
la violenza esplodere in ogni momento; come infatti sarà. Non è un
colloquio. È un interrogatorio».